fosse solo la campania.......

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icsicsxx
00sabato 29 marzo 2008 10:10
Giuseppe Lo Bianco e Piero Messina per “L’espresso” (ha collaborato Nello Trocchia)

I rifiuti di Napoli...

Di fronte all'ingresso del Policlinico di Palermo c'è una larga chiazza di cenere nera accanto ad un cassonetto rovesciato. È il simbolo della soluzione 'fai da te' all'emergenza rifiuti: bruciare i contenitori per non morire soffocati. Anche sotto le finestre delle corsie affollate di malati. Il peggio, per adesso, sembra passato e gli autocompattatori sono tornati a sgomberare le strade della città, ma operatori ecologici e sindacati restano in preallarme e anche Giancarlo Trevisone, prefetto del capoluogo siciliano, è preoccupato: il rischio che il sistema di raccolta vada definitivamente in tilt, ha detto alla Cgil, è alto.

Segnali di fumo dalle montagne di spazzatura ammassate nella discarica di Bellolampo annunciano un'estate di fuoco. Per tutto il sud. Il caso Napoli non è isolato: dalla Sicilia, dalla Calabria e più su persino dal Lazio arrivano indizi allarmanti di un'emergenza rifiuti globale, pronta a esplodere alla prima difficoltà tecnica o sindacale. Come e peggio del capoluogo campano. È infatti bastata una giornata di sciopero l'11 marzo per mandare in tilt i sistemi di raccolta in metropoli come Roma e Palermo. Nella capitale c'è voluta una settimana per tornare alla normalità; nell'hinterland di Palermo le montagne di sacchetti sono rimaste al sole per dieci giorni.

LA PROTESTA
Il sistema è in crisi e i lavoratori minacciano nuovi scioperi. La replica di quanto accaduto ai primi di marzo andrà in scena subito dopo le elezioni: sono state indette quarantotto ore di serrata ed è facile prevedere un altro girone infernale con cassonetti che straripano nelle strade. C'è un contratto scaduto da più di due anni per i centomila addetti del settore e la richiesta non è tanto di profilo economico, quanto di vedere sempre più ridotto il ruolo e le tutele dei lavoratori in un mercato sempre più ricco.

"La verità inconfessabile è che il sistema è diviso in due aree di attività", spiega Franca Peroni, segretario nazionale del comparto igiene ambientale Cgil: "Da un lato ci sono quelle altamente redditizie, dall'altro quelle a basso contenuto tecnologico. È ovvio che in un mercato di questo tipo si tende ad abbandonare i settori che non creano profitto". Si tende cioè a scaricare il costo del lavoro degli operatori che fanno la raccolta su cooperative sociali o su aziende pubbliche.

Con operazioni senza trasparenza. La prassi è eguale un po' dovunque: vanno ceduti quei rami di azienda che non garantiscono alti redditi e richiedono una gran mole di manodopera. In Sicilia, poi, con le aziende pubbliche ormai al collasso, è allarme rosso: "Siamo stati convocati dal prefetto che ha espresso tutte le sue preoccupazioni", avverte Michele Palazzotto, segretario funzione pubblica della Cgil di Palermo: "C'è il rischio che il sistema della raccolta rifiuti in Sicilia, vada in tilt da qui a breve".

L'ORO NERO
Dalla Sicilia arriva un dato che illumina il business nascosto nel fondo del cassonetto: nel 2007 il servizio è costato più di 400 milioni di euro, 153 euro per tonnellata, praticamente il doppio di quanto costava soltanto quattro anni prima. L'equazione è semplice: si moltiplicano i protagonisti, i costi lievitano. E nelle regioni del centro-sud si aprono nuovi spazi per le ecomafie, che sono in grado di infiltrarsi a ogni livello del sistema: i reati ambientali denunciati crescono al ritmo del 35 per cento annuo. "Si sono moltiplicati gli attori del sistema e la filiera è stata trasformata in un vero e proprio spezzatino che gonfia i costi, e dove è estremamente complicato qualsiasi controllo di legalità e si creano spazi per manovre politico clientelari", conferma Palazzotto.

Esattamente come in Campania. Ma la complessità del sistema rifiuti siciliano è esasperata dalla moltiplicazione ingiustificata di enti territoriali: il sistema è suddiviso in 27 Ato, gli ambiti territoriali. Solo in provincia di Palermo sono sei gli ambiti responsabili del ciclo dei rifiuti. Questo accade nonostante una legge regionale abbia imposto la riduzione del numero degli Ato da 27 a nove, uno per provincia.

E ogni ambito ha un consiglio di amministrazione e gestisce direttamente assunzioni e appalti. Sono posti ambiti: non bisogna sporcarsi le mani, c'è solo l'attività burocratica di passacarte e di riscossione delle bollette. Non sono loro ad occuparsi direttamente di spazzatura, ma la fanno gestire a privati attraverso gare d'appalto. Con risultati disastrosi: in poco più di cinque anni gli Ato rifiuti siciliani hanno accumulato un deficit vicino ai 380 milioni. Una bolletta salata che dovrà essere pagata dai cittadini. "Ancora l'impatto economico non c'è stato perché non si è passati dal regime della tassa a quello della tariffa. Ma sono molti i comuni ormai prossimi al dissesto finanziario, con i costi della raccolta dei rifiuti che in pochi anni si sono quintuplicati", continua Palazzotto.

TRA RACCOMANDAZIONI E FINANZA CREATIVA
L'esempio del Coinres, il consorzio che raggruppa ventidue comuni della provincia di Palermo, ha fatto scuola. Lo guidava l'assessore provinciale Raffaele Loddo. Il Coinres è finito sotto osservazione da parte della Corte dei Conti per una serie di contratti a termine, commissionati ad agenzie interinali. Centoventi persone assunte, tra loro alcuni parenti di amministratori locali e consiglieri comunali.

Anche la Commissione antimafia ha chiesto di esaminare gli atti del consorzio e dell'agenzia interinale. Loddo è stato costretto pochi giorni fa alle dimissioni, a causa della crisi finanziaria del consorzio e da una raffica di scioperi dei dipendenti, stanchi di ricevere lo stipendio a singhiozzo. Un capitolo a parte va dedicato all'Amia di Palermo. Per salvare l'ex municipalizzata per l'igiene ambientale, il sindaco Diego Cammarata ha lanciato il progetto di una 'holding multiutility'. Dovrà raggruppare tutte le società di servizi controllate dall'amministrazione comunale. A leggere il progetto di Medhelan, advisor incaricato di redigere la bozza operativa, si intuisce che, la 'finanza creativa' si applica non per rigore strategico ma proprio con l'obiettivo di salvare il carrozzone creato dal Comune.

I conti dell'ex municipalizzata, che dà lavoro a 2.800 dipendenti segnano profondo rosso. Il patrimonio netto della società, si legge nel bilancio 2006, è stato cancellato, andando sotto di 11 milioni di euro, la perdita di esercizio è quasi di 50 milioni di euro. Tante vertenze che si sommano al problema strategico: l'assenza di raccolta differenziata rischia di trasformare ogni agitazione sindacale in un'emergenza ambientale.

REGIONI INDIFFERENZIATE
Un immaginario confine separa le due Italie dei rifiuti: al nord che inizia a 'termovalorizzare' e ricicla percentuali crescenti di scarti, si contrappone un sud arretrato e fortemente condizionato da scelte politiche e clientelari. Che quelli del meridione siano metodi vetusti lo dimostra il dato della raccolta differenziata, con Basilicata, Sicilia e Molise agli ultimi posti della classifica. Ma anche a Roma la raccolta differenziata è praticamente inesistente. In Sicilia, nonostante la prescrizione di legge, non si riesce a superare la soglia del 7 per cento. Così dei 32,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti annualmente, la metà va a intasare le discariche.

E mentre la Lombardia seppellisce in discarica soltanto il 17 per cento dei rifiuti, nell'intero Lazio la differenziata è addirittura inferiore alla Campania dello 0,2 per cento. Solo le proroghe all'uso della voragine di Malagrotta impediscono che l'onda dei sacchetti neri sommerga la Capitale e le province. Proprio a Malagrotta sorge un impianto di gassificazione dei rifiuti, definito sperimentale, che dovrebbe ufficialmente entrare in funzione ad aprile ma che si pensa non comincerà nessuna trasformazione prima del 2009.

Appeso ad un progetto di massima, invece, l'inceneritore di Albano, in attesa della valutazione di impatto ambientale, e contestato da mobilitazioni popolari con il sostegno persino dell'assessore verde Filiberto Zaratti, che ha partecipato all'ultima manifestazione. Le linee di incenerimento nel Lazio, in realtà, ci sono: tre per la precisione, localizzate a San Vittore e Colleferro, ma mancano altri tasselli per completare il ciclo. Gli inceneritori presenti bruciano i rifiuti, ma di altre regioni: la regione Lazio non produce Cdr per carenza di impianti. Gli impianti di compostaggio sono sedici, ma ne funzionano solo dieci
icsicsxx
00sabato 29 marzo 2008 10:12
e questo è solo l'inizio cari miei!

decine di discariche sono a fine vita in tutta italia e tra un par d'annetti...........


[SM=x234789]


ma ovviamente i nostri solerti politici, bipartisan troveranno le adeguate soluzioni!

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